Con un recente provvedimento, la Cassazione ha chiarito come funziona la prescrizione in materia di vertenza al datore di lavoro. Ed ha evidenziato che in caso di retribuzioni o straordinari non pagati hai più tempo per tutelarti.
La vertenza al datore di lavoro è uno strumento che permette al lavoratore di veder riconosciuti i propri diritti, laddove essi siano stati lesi dal comportamento dell’azienda.
Pensiamo ad es. alle differenze retributive spettanti o al mancato godimento di ferie e permessi o ancora al mancato pagamento dell’indennità di preavviso o del TFR.
Ebbene non sempre la fine di un rapporto di lavoro è senza strascichi. Talvolta anzi la vertenza di lavoro con la precedente azienda potrebbe aver luogo anche anni dopo, con un ‘appuntamento’ in tribunale dunque posticipato di molto tempo. La Cassazione lo ha confermato e ha recentemente chiarito entro quanto tempo si può fare vertenza al datore di lavoro. Ce ne occuperemo di seguito.
Perciò quanto tempo può attendere il lavoratore prima di fare vertenza? Qual è la prescrizione in materia? Scopriamolo insieme nel corso di questo articolo.
Vertenza di lavoro: che cos’è in breve
La controversia o vertenza in materia di lavoro consiste di fatto nel contrasto che sorge tra un dipendente e un datore di lavoro in relazione ad alcuni aspetti del loro rapporto di lavoro, laddove vi siano in gioco possibili lesioni di diritti o aspettative previsti nella legge o dai Ccnl di categoria.
Dette vertenze possono attenere sia ad aspetti economici, che normativi. In particolare la controversia o vertenza di lavoro è individuale quando la contrapposizione nasce tra un datore di lavoro o azienda e il singolo lavoratore, ed è circoscritta perciò al singolo contratto di lavoro.
Pertanto non ci sono dubbi: la vertenza di lavoro, talvolta anche chiamata denuncia di controversia, è mezzo usato dal lavoratore per far valere, nei confronti del datore di lavoro, la tutela e la reintegrazione dei suoi diritti che scaturiscono dal contratto di lavoro sottoscritto tra le parti. Questo strumento può essere usato sia nell’ambito dello svolgimento del rapporto di lavoro che alla fine dello stesso, come tra poco vedremo.
La vertenza di lavoro come opportunità di evitare la causa in tribunale
Infatti il lavoratore prima di rivolgersi al tribunale, attraverso la vertenza sollecita il proprio datore di lavoro a dare atto di quanto vantato e a riconoscerglielo in concreto. Il lavoratore può tentare di raggiungere un accordo con l’assistenza di un legale o del sindacato, che anzi hanno un ruolo cruciale per il buon esito della vertenza.
Qualora si voglia fare davvero una vertenza al datore di lavoro, è preferibile contattare quanto prima un avvocato ferrato in materia, oltre al sindacato. Lo scopo è tentare una mediazione prima di finire in tribunale. Le probabilità di un esito positivo della conciliazione cresceranno all’aumentare della documentazione in grado di dimostrare il torto subìto dal datore di lavoro. Documenti cruciali saranno dunque le buste paga, la certificazione unica, ad esempio, e questi ultimi andranno mostrati all’avvocato o al sindacato per le opportune contromisure.
In caso di esito negativo della vertenza, ovvero nel caso in cui le parti non raggiungano una mediazione o transazione, sarà il lavoratore ad agire legalmente per il riconoscimento dei diritti vantati.
Al fine di poter fare una vertenza di lavoro, il lavoratore non deve però dimenticare che decorre la prescrizione per rivendicare dei diritti come stipendi, maggiorazioni o straordinari non pagati. E proprio recentemente, come accennato, la Corte di Cassazione si è pronunciata su questi temi.
Vertenza di lavoro: le tempistiche entro cui farla e i casi concreti
A questo punto veniamo al tempo che si ha, prima che divenga impossibile effettuare la vertenza di lavoro. Ebbene occorre distinguere tra situazioni diverse:
- se in ballo c’è un licenziamento che può essere illegittimo, il lavoratore deve attivarsi senza indugio ovvero entro 60 giorni dal giorno di comunicazione del recesso unilaterale;
- nel differente caso della vertenza di lavoro per mancato versamento della retribuzione o di straordinari, è utile l’orientamento della Cassazione che ha affermato in un suo provvedimento che il lavoratore subordinato ha fino a 5 anni di tempo dalla fine del rapporto di lavoro, per tutelare i propri diritti.
La distinzione è fondamentale perché nel secondo caso il lavoratore può contare su un lasso di tempo molto maggiore. Ma il nuovo orientamento della Cassazione si fonda sul nuovo assetto di regole in tema di rapporti di lavoro, di cui alla legge Fornero e al Jobs Act. Risultato: i contratti a tempo indeterminato non sono più una garanzia di posto fisso a vita, specialmente in caso di contestazione. Il lavoratore infatti potrebbe temere di opporsi alla decisione datoriale, per timore di essere licenziato – considerando anche che la reintegra oggi non è così scontata. Ecco perché può tutelarsi anche dopo diversi anni dalla fine del rapporto di lavoro.