Aumentare la pensione è possibile anche quando si è percettori del trattamento previdenziale. Però ciò questo vale soltanto entro particolari regole e condizioni. Ecco una breve guida pratica sulle alternative a disposizione.
In un periodo in cui le pensioni sono per non poche famiglie un vero e proprio ‘salvagente’ economico – ovvero il solo reddito del nucleo – appare interessante dare una serie di chiarimenti in merito all’ipotesi del versamento dei cosiddetti contributi volontari, allo scopo di integrare i trattamenti pensionistici.
Ciò è davvero possibile? Le norme di legge italiane lo consentono sulla pensione? Ebbene, come vedremo meglio nel corso di questo articolo, le regole in tema di previdenza non prevedono un’applicazione ‘estesa’ della possibilità di versare i contributi volontari. Ma che cosa significa ciò e quali conseguenze ha per il pensionato che vorrebbe rendere la propria pensione un po’ più corposa? Scopriamolo assieme.
Contributi volontari per integrare la pensione? La risposta è nella legge
Vero è che talvolta le norme previdenziali non brillano per chiarezza espositiva e per facilità di comprensione, ma non in questo caso. Ebbene in linea generale i contributi volontari sono costituiti da tutte quelle tipologie di contributi pagati su domanda del lavoratore subordinato o autonomo, che intende proseguire la contribuzione per conseguire il diritto alla pensione o per accrescerne l’ammontare – in caso di interruzione o cessazione del rapporto di lavoro (disoccupazione).
Ma attenzione: i contributi volontari possono essere pagati dall’interessato soltanto per colmare vuoti contributivi, ad es. legati alla perdita del lavoro o all’interruzione momentanea del rapporto di lavoro. Le norme sono assai precise su questi temi: infatti l’art. 6 del d. lgs. n. 184 del 1997 indica che detti contributi volontari non possono essere versati da chi è in costanza di rapporto di lavoro e nemmeno dai pensionati, ovvero la categoria di persone che qui interessa.
Proprio così: il provvedimento citato prevede espressamente che non è concessa l’opzione di contribuzione volontaria, per i lassi di tempo posteriori alla data di decorrenza della pensione diretta.
Conseguentemente tutti coloro che intendono fronteggiare efficacemente la questione delle spese mensili legate alla crisi energetica, alle bollette fuori controllo e all’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, debbono ricordare che non è praticabile la strada del versamento dei contributi volontari allo scopo di incrementare la pensione.
Pensione più alta: il rimedio c’è e si chiama supplemento pensione
Tuttavia un’alternativa ai contributi volontari c’è. Il pensionato che intende aumentare la pensione potrebbe valutare di iniziare una nuova attività lavorativa, che includa il pagamento di nuovi contributi da parte del datore di lavoro. Ciò permetterà di vedere aumentare l’importo della pensione percepita. Si tratta dell’istituto del cosiddetto supplemento di pensione, espressamente regolato dalla legge e utilizzabile soltanto se si riprende a lavorare dopo la pensione.
In particolare il supplemento:
- è versato dopo almeno 5 anni dalla decorrenza della pensione,
- e poi si può ripetere ogni quinquennio, aggiornando l’assegno previdenziale e incassando eventuali nuovi contributi maturati.
In sintesi, il supplemento consiste in un aumento della pensione pagato, su richiesta, sulla scorta della contribuzione di periodi posteriori alla data di decorrenza della pensione stessa. Inoltre i contributi posteriori alla decorrenza del primo supplemento permettono la liquidazione di ulteriori supplementi.
Di questo istituto si trova una utilissima guida nel sito web ufficiale dell’Inps.
Aumento pensione: ulteriori alternative
Nell’ipotesi in cui il pensionato non possa riprendere a lavorare, non è detto che non sia possibile comunque integrare la pensione. Come? Ad esempio valutando se vi sono i requisiti di accesso al diritto all’integrazione al minimo della pensione. In buona sostanza, soltanto se l’assegno pensionistico è al di sotto della pensione minima (che per il 2022 è uguale a 524 euro al mese) sarà possibile domandare all’Inps che l’assegno sia innalzato fino almeno a questo ammontare minimo.
Tuttavia, per avvalersi dell’integrazione al minimo occorre rispettare requisiti di reddito ben precisi. L’integrazione al trattamento minimo è un istituto previsto dall’art. 6 della legge n. 638 del 1983.
Coloro che intendono aumentare la propria pensione non debbono dimenticare che esiste anche l’opzione della cd. maggiorazione sociale, che però è legata dall’età del pensionato e include limiti di reddito comunque meno rigidi di quelli che valgono per l’integrazione al trattamento minimo.
In particolare le maggiorazioni sociali rappresentano uno strumento d’aumento delle prestazioni previdenziali, in favore di quei soggetti economicamente svantaggiati che hanno compiuto almeno 60 anni di età anagrafica. Utile notare infine che queste maggiorazioni, valgono sull’importo base della pensione, al di là dell’eventuale riconoscimento dell’integrazione al trattamento minimo.