Per lasciare il lavoro con la pensione minima 20 anni di contributi maturati potrebbero non essere sufficienti. Non spetta a tutti.
Chi pensa che raggiunti i 67 anni di età e 20 anni di contribuzione si possa ottenere la pensione minima commette un errore.
Il sistema pensionistico italiano è talmente variopinto che spesso si fa confusione sulle misure da utilizzare per l’uscita dal mondo del lavoro. Pensioni ordinarie, anticipate, riservate a specifiche categorie, ognuna con diversi requisiti da soddisfare a livello anagrafico e contributivo. Tante possibilità, dunque, alcune delle quali deludenti in termini di importo dell’assegno pensionistico. L’Italia è nota in Europa, infatti, per i bassi importi delle pensioni che soprattutto in questo periodo di inflazione alle stelle risultano insufficienti per tante famiglie. I pensionati che vivono con il trattamento minimo sono numerosi. Parliamo di 525 euro al mese, cifra che rasenta la soglia di povertà.
Pensione minima, chi non la otterrà con 20 anni di contributi
Il trattamento minimo è un’integrazione che lo Stato riserva a condizione che la pensione ricada nel calcolo misto. Il riferimento, dunque, è ai pensionati che hanno versato contributi a cavallo del 1996. La contribuzione precedente al 1° gennaio 1996 rientrerà nel sistema di calcolo retributivo, quella successiva a tale data nel sistema contributivo. Condizione necessaria, poi, è non aver scelto il computo nella Gestione Separata INPS.
Tanti cittadini pensano che al raggiungimento della pensione di vecchiaia – 67 anni di età e 20 anni di contributi – l’erogazione della pensione minima scatti automaticamente. Ad incidere sull’erogazione intervengono, in realtà, diverse variabili. Conta, per esempio, l’importo percepito mensilmente durante la carriera lavorativa oppure il sistema di calcolo utilizzato. Se puramente contributivo, ad esempio, l’assegno pensionistico potrebbe risultare inferiore rispetto al previsto. Succede anche nel caso in cui i redditi familiari risultino superiori rispetto a quelli stabiliti dalla normativa per l’anno di riferimento.
L’importanza della retribuzione mensile
Ad incidere sul calcolo della pensione spettante raggiunti i 67 anni di età e i venti di contributi è la retribuzione mensile percepita negli anni di lavoro. Logica vuole che il dipendente che ha ricevuto uno stipendio mensile di 1.000 euro non possa percepire lo stesso assegno pensionistico di chi ha guadagnato mensilmente 2.500 euro. Anche a parità di anni di contribuzione. Se gli importi dei contributi versati sono doppi anche la pensione sarà doppia. I contributi, infatti, concorrono alla costituzione del montante contributivo su cui si baserà il calcolo dell’assegno pensionistico.