Attenzione a quanti giorni si resta lontano dal posto di lavoro per infortunio o malattia, perché il datore di lavoro potrebbe aver diritto a disporre il licenziamento. Il periodo di comporto e il suo meccanismo.
Il lavoratore che si ammala o che si infortuna ha diritto a non perdere il posto di lavoro, perché la legge interviene con norme a suo favore e a tutela del reddito percepito in forza del rapporto di lavoro. Ma detta garanzia non vale a tempo indeterminato.
Come vedremo nel corso di questo articolo, ci sono infatti dei limiti ben precisi, che servono a garantire anche le ragioni dell’impresa, il suo profitto e la sua buona organizzazione.
Perciò ogni persona che lavora alle dipendenze farà bene a ricordare che cos’è e quanto dura il periodo di comporto, ma anche a considerare in quali circostanze il datore di lavoro può – con licenziamento – interrompere il rapporto con il dipendente troppo a lungo a casa. Vediamo insieme di seguito tutti i dettagli.
Malattia o infortunio del lavoratore, periodo di comporto e rischi di licenziamento: il contesto di riferimento
Chiaro che la malattia, in quanto tale, è in grado di impedire al lavoratore di svolgere le sue ordinarie mansioni, per cui è stato assunto e di cui c’è traccia nel contratto di lavoro individuale.
Ma attenzione: se è vero che nessuno vieta ad un lavoratore di restare a casa in malattia – laddove vi sia un certificato medico che comprova che non è in buone condizioni di salute e che deve restare a riposo per giungere nel più breve tempo alla guarigione – tuttavia è altrettanto vero che la malattia non può diventare una sorta di ‘scusa’ per non andare in ufficio o in fabbrica.
Ecco perché legge, Ccnl di categoria e anche giurisprudenza hanno indicato delle regole e dei limiti di tempo per non andare a lavoro a causa di una patologia. Superare i limiti significa, in buona sostanza, esporsi al rischio di licenziamento. Allora la domanda sorge spontanea: quanto tempo un lavoratore può assentarsi per malattia senza correre il rischio di essere licenziato? Quanto dura il periodo di copertura?
Ebbene, detto lasso di tempo prende il nome di periodo di comporto e consiste in uno spazio in cui il lavoratore subordinato assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. È un periodo di malattia (contato per giorni o mesi massimi) di cui si trova espressa e chiara traccia nel proprio contratto collettivo: è dunque lì che il lavoratore dovrà andare a guardare per capire a quanto ammonta.
I giorni di assenza del periodo di comporto possono essere fatti tutti assieme in modo consecutivo, oppure possono essere sfruttati in modo frazionato dal lavoratore, fino al limite massimo (con tutela contro il licenziamento) di cui al Ccnl di riferimento.
Periodo di comporto: alcuni esempi pratici nei vari Ccnl in vigore
La durata del periodo di comporto è diversa in base a cosa dispone ogni contratto nazionale e, pertanto, cambia sulla scorta del settore di attività. Ad es. nel Ccnl commercio la conservazione del posto vale per un arco di tempo di 180 giorni nell’anno solare, più eventuali 120 giorni di aspettativa e ulteriori 12 mesi per gravi patologie.
Invece per quanto attiene alla categoria degli impiegati, c’è una regola base la quale indica che c’è un massimo di 3 mesi di periodo di comporto nell’anno solare (vale a dire dal primo gennaio al 31 dicembre) – se l’anzianità di servizio non oltrepassa i dieci mesi – e un massimo di sei mesi d’assenza per comporto, se l’anzianità va oltre i dieci mesi. Ma i vari Ccnl possono disporre condizioni di maggior favore e, dunque, un periodo di comporto più lungo. Per es. gli impiegati cui si applica il Ccnl Edilizia hanno diritto a 9 mesi di comporto, per anzianità di servizio dai 3 ai 6 anni, e a 12 mesi oltre i 6 anni.
In ogni caso, fa fede il Ccnl di categoria e – come accennato – a quel testo gli impiegati malati o infortunati faranno bene a far riferimento. In linea generale, ad esempio un impiegato può esporsi al rischio di licenziamento se, pur avendo un’anzianità di servizio superiore ai dieci mesi, fa sette mesi di malattia e sfora il limite.
Cosa succede al termine del periodo di comporto?
Lo abbiamo accennato sopra ma giova ricordarlo. Al termine del periodo di comporto il rapporto di lavoro continua normalmente, a meno che l’azienda non voglia realmente procedere al licenziamento o recesso unilaterale del datore di lavoro. In altre parole, non è una conseguenza obbligatoria, ma una mera possibilità o facoltà: il lavoratore di fatto ‘rischia’ il posto ma non è certo di perderlo. L’azienda può infatti stabilire che il prolungamento del comporto ha avuto una valida motivazione.
Inoltre il datore di lavoro, che non è obbligato ad informare il proprio lavoratore malato o infortunato dell’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto, può adottare la scela del licenziamento, nel rispetto del periodo di preavviso di cui al contratto collettivo applicato (non si tratta infatti di un licenziamento per giusta causa).
Ricordiamo poi che differentemente dai casi di licenziamento previsti nell’ordinario, questo tipo di licenziamento non deve essere preceduto dalla procedura di contestazione disciplinare, e l’azienda è esonerata dall’obbligo di provare un giustificato motivo di licenziamento.
Infine, è pur vero che oltrepassare il periodo di comporto, vale a dire prendere più mesi di malattia rispetto a quelli di cui al Ccnl, non sempre equivale alla possibilità di essere licenziati perché vi sono casi in cui l’allontanamento dal posto di lavoro lavoratore sarebbe illegittimo. Pensiamo ad es. al lavoratore costretto a casa per infortunio o malattia perché il suo datore di lavoro si è reso colpevole di non aver adottato una misura di sicurezza che aveva l’obbligo di adottare e, perciò, è scaturito un danno al lavoratore. In questo caso il dipendente potrà assentarsi senza dover sottostare ad alcun limite di tempo.