Nel 2023 entrerà in vigore Quota 41, ma gli effetti per gli assegni pensionistici saranno negativi. Per quale motivo?
Quasi sicuramente, il prossimo anno si potrà accedere alla pensione in anticipo, grazie a Quota 41.
Il Governo Meloni sta lavorando ad una possibile uscita anticipata dal mondo lavorativo per tutti, con 41 anni di contributi. Per contenere i costi delle riforma, la Ministra Calderone sta valutando l’introduzione anche di un requisito anagrafico, da stabilire tra i 61 e i 63 anni.
Senza dubbio, la decisone definitiva dovrà tenere conto dei fondi finanziari a disposizione. La Ministra ha, però, assicurato che non verranno introdotti ulteriori tagli sull’importo pensionistico spettante a coloro che decidono di smettere di lavorare in anticipo. Scegliere il pensionamento anticipato, tuttavia, non è una scelta vincente, perché il sistema contributivo prevede delle penalizzazioni abbastanza elevate.
Il pericolo, dunque, è che, smettendo di lavorare con un’età anagrafica inferiore ai 67 anni, si abbia diritto ad un trattamento previdenziale inappropriato. Ma a quanto ammonterebbe l’assegno andando in pensione con Quota 41? Scopriamolo insieme.
Per tutte le informazioni relative alla Riforma, consulta il seguente articolo: “Pensione Quota 41 per tutti, senza vincoli e paletti torna alla ribalta: la direzione della Meloni“.
Quota 41: da cosa derivano le penalizzazioni sull’importo?
La riduzione dell’ammontare dell’assegno pensionistico con Quota 41 deriva dal ricalcolo della somma spettante tramite il sistema contributivo puro. Tale meccanismo ha sostituito il sistema retributivo, con il quale il calcolo avveniva in base alla retribuzione percepita nell’ultimo periodo di attività lavorativa.
Attraverso il sistema contributivo, invece, quello che conta sono i contributi effettivamente versati dal lavoratore. Tali contributi, infatti, sono raccolti nel cd. montante contributivo, che viene tramutato in pensione grazie all’applicazione del coefficiente di trasformazione.
Lo scopo del sistema contributivo è quello di frenare il dilagare dei pensionamenti anticipati e, per questa ragione, il coefficiente di trasformazione è minore se si sceglie di andare in pensione prima. In altre parole, smettere di lavorare a 61 anni, comporta una rivalutazione differente e meno conveniente del montante contributivo, rispetto a quella che si avrebbe aspettando il compimento dei 67 anni.
Infine, lavorando di più si incrementa l’anzianità contributiva e, di conseguenza, l’importo finale della prestazione.
Non perdere il seguente articolo: “Riforma pensioni: Quota 41 l’escamotage per evitare lo ‘scalone’ nel 2023“.
Le cifre di Quota 41
Per capire quanto si percepirà con Quota 41 è utile fare degli esempi. Un lavoratore che, nel 2023, compie 61 anni e matura 41 anni di contribuzione, avrebbe la facoltà di smettere di lavorare fin da subito (se la Riforma dovesse venire approvata). Ma a quanto ammonterebbe l’assegno pensionistico? La cifra varia in base al montante contributivo raggiunto. Ad esempio, sommando tutti i versamenti previdenziali si otterrebbe un montante contributivo di 200 mila euro.
Dunque, andando in pensione a 61 anni, la conversione in pensione comporterebbe l’applicazione di un coefficiente del 4,639%. L’assegno finale, di conseguenza, sarebbe uguale a 9.278 euro l’anno.
Smettere di lavorare a 67 anni (con lo stesso montante contributivo), invece, consentirebbe di percepire una pensione annua di 11.150 euro, con un coefficiente di trasformazione pari al 5,575%.
Se, però, l’interessato decidesse di continuare a lavorare, con uno stipendio annuo di 30 mila euro e l’aliquota contributiva del 33%, avrebbe diritto a 9.900 euro di versamenti contributivi l’anno. In questa ipotesi, lavorando per ulteriori 6 anni (cioè fino a 67 anni), si avrebbe un aumento del montante contributivo di altri 59.400 euro, per un totale di 259.400 euro. Di conseguenza, il pensionato avrebbe accesso ad un assegno di circa 14.460 euro annui, decisamente più elevata di quella spettante a 61 anni.
A quanto ammonta la pensione a 62 o 63 anni?
Se il Governo Meloni dovesse introdurre Quota 41 a 62 o 63 anni si avrebbe diritto ad un assegno penalizzato, di importo minore rispetto a quello percepito con 67 anni di età.
A 62 anni, infatti, il coefficiente di trasformazione è uguale al 4,770%; con un montante contributivo di 200 mila euro, la pensione sarebbe di 9.540 euro (dunque, 262 euro in più rispetto a quanto percepito a 61 anni). A 63 anni, invece, il coefficiente è pari al 4,910%, con un assegno finale di 9.820 euro.
Infine, è bene ricordare ai nostri lettori che i calcoli accennati nel seguente articolo non prendono in considerazione un possibile aggiornamento dei coefficienti di trasformazione, che potrebbe intervenire il prossimo gennaio. In ogni caso, quello che è importante evidenziare è che, in base all’attuale sistema previdenziale, smettere di lavorare prima produce sempre una riduzione dell’assegno spettante.