Per effetto della rivalutazione, nel 2023 le pensioni minime subiranno un incremento non indifferente. Ecco quali saranno gli aumenti.
In seguito alla rivalutazione delle pensioni al tasso di inflazione, anche gli importi degli assegni minimi subiranno delle modifiche.
In particolare, le pensioni minime saranno incrementate del 7,3%, sulla base dell’attuale tasso di inflazione. Inoltre, per gli importi superiore ai 2.100 euro lordi al mese, i rialzi caleranno fino al 35% dell’inflazione, per gli assegni uguali o maggiori a 9 volte il trattamento minimo. Quest’ultimo aumenterà dell’8,8%, cioè di 1,2 volte l’inflazione. Passerà, dunque, dai 525,38 euro del 2022 ai 572,18 euro del 2023.
Ma vediamo quali saranno tutte le cifre delle prestazioni pensionistiche per i prossimi anni.
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Incremento delle pensioni minime: cosa accadrà nei prossimi due anni?
Oltre che nel 2023, anche nel 2024 le pensioni minime subiranno un notevole incremento, dipendente sempre dall’andamento dell’inflazione. Nello specifico, gli importi lieviteranno del 2,7%. Il calcolo del totale spettante si effettua sulla cifra del 2023, al netto dell’1,5% di aumento aggiuntivo. In pratica, su una pensione di 563,73 euro.
Calcolando il 2,7% su 563,73 euro, si ottiene 15,22 euro. Le pensioni minime, quindi, arriveranno a 578,95 euro. Molto probabilmente, se l’inflazione aumenterà, si raggiungerà quota 600 euro, per 13 mensilità.
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La richiesta di Forza Italia
Ricapitolando, in 2 anni, le pensioni minime aumenteranno di circa 78 euro, cioè del 15%. Considerando, però, il contemporaneo aumento anche dell’inflazione, l’incremento reale sarà di circa 23 euro, ossia del 4,4%.
In realtà, Forza Italia chiede che gli assegni siano portati a 600 euro già dal prossimo gennaio. Al momento, però, la richiesta sembra impossibile, a causa di carenza di risorse finanziarie. Se il progetto andrà in porto, i pensionati potranno contare su 75 euro al mese in più, per un totale di 975 euro per 13 mensilità all’anno.
Considerando il numero dei beneficiari di pensioni minime, la manovra costerà all’INPS più di 2 miliardi di euro.
Infine, non poche problematiche e perplessità sta scatenando il taglio della rivalutazione delle pensioni di importo medio-alto e alto. I titolari delle prestazioni pensionistiche affermano (anche a ragione) di aver versato maggiori contributi proprio per ottenere un assegno più ricco.
Ritengono, dunque, che il provvedimento sia fortemente penalizzante e avvantaggerebbe, invece, i contribuenti che hanno lavorato in nero oppure che non hanno provveduto con i versamenti previdenziali all’INPS.
Anche a causa di queste critiche, il Governo non ha ancora approvato un vero e proprio aumento definitivo delle pensioni integrate al trattamento minimo. Incrementare eccessivamente tali assegni, infatti, potrebbe significare, per alcuni, che non serve a nulla versare i contributi con regolarità.