Il Trattamento Lecanemab contro l’Alzheimer è al centro di un ampio dibattito. Si tratta di una cura promettente ma non mancano i dubbi.
Gli scienziati stanno sperimentando una nuova cura contro l’Alzheimer, il Lecanemab. Andiamo a scoprire di cosa si tratta e se funziona davvero oppure no.
Le sperimentazioni con il Lecanemab hanno già dato degli ottimi riscontri, tanto che le aziende farmaceutiche che l’hanno sviluppato, Eisai e Biogen, hanno già avviato le pratiche per l’approvazione del farmaco e la sua messa in commercio. Ma esistono anche dei rischi di effetti collaterali gravi e persino fatali.
La Ricerca negli ultimi anni ha tentato di ovviare ad una delle malattie più terribili, il declino cognitivo. Purtroppo ad oggi non esistono cure per l’Alzheimer e soprattutto c’è un preoccupante aumento dei casi. È in quest’ottica, e grazie alle nuove tecnologie farmacologiche, che gli esperti hanno ideato un innovativo approccio alla malattia: una cura monoclonale.
Terapia Lecanemab contro Alzheimer, l’arma vincente del futuro o mera illusione? Gli studi
Riguardo all’innescarsi dell’Alzheimer numerosi scienziati concordano che esistono alcuni fattori, tra cui l’accumulo di determinate proteine tossiche. Queste sostanze infiammano e distruggono progressivamente le cellule del cervello, che come sappiamo manifesta poi i deficit. Il progresso della malattia non è al momento contrastabile e porta inevitabilmente al decesso.
Lecanemab risulta differente da tutti gli altri medicinali che al momento rallentano il declino cognitivo. Si tratta infatti di un anticorpo monoclonale creato in laboratorio. Questo tipo di cura è già stato usato anche per il Covid e in sostanza offre all’organismo precise istruzioni per distruggere determinate sostanze presenti nel corpo umano. Lecanemab è “diretto contro la proteina amiloide”, quella appunto responsabile dei danni alle cellule cerebrali.
I pareri degli esperti
Karen D. Sullivan, neuropsicologa certificata dal consiglio di amministrazione e proprietaria di I CARE FOR YOUR BRAIN a Pinehurst, nella Carolina del Nord, si è dichiarata entusiasta di questa nuova cura. Secondo ciò che è emerso dalla sperimentazione, il Lecanemab rimuove in modo più efficace le placche amiloidi. Se la malattia viene presa nella fase iniziale, dunque, si ha la speranza di un ripristino delle capacità cognitive e di un rallentamento/stop al decorso degenerativo.
Anche secondo il dottor Emer MacSweeney, CEO e direttore medico di Re:Cognition Health, e ricercatore principale per lo studio clinico di conferma Clarity AD di fase 3 sul lecanemab, combattere la proteina beta-amiloide che si accumula nel cervello significa evitare la malattia di Alzheimer.
La sperimentazione
Sul New England Journal Medicine troviamo i risultati della sperimentazione del Lecanemab e degli studi che sono stati effettuati fino ad oggi.
La sperimentazione clinica ha coinvolto circa 1800 soggetti di età compresa tra 50 e 90 anni, con l’Alzheimer in fase iniziale. I ricercatori hanno diviso i pazienti in due gruppi ai quali hanno somministrato la terapia o un placebo. Dopo 18 mesi di osservazioni e test per verificare i livelli cognitivi e anche esami specifici, è emerso che la terapia ha rallentato il declino cognitivo del 27% rispetto a coloro che avevano assunto il placebo.
Molti esperti di rilievo mondiale concordano con quanto affermato dal dottor Ronald Petersen, neurologo e direttore del Centro di ricerca sulla malattia di Alzheimer della Mayo Clinic e del Mayo Clinic Study of Aging. “Risultati impressionanti e molto soddisfacenti”.
Petersen ha spiegato che “il farmaco ha fatto quello che doveva fare“, ovvero ha rimosso le placche amiloidi migliorando lo stato di salute dei pazienti.
Purtroppo, però, durante la sperimentazione ci sono stati anche due decessi, e gli scienziati hanno individuato i possibili effetti collaterali del Lecanemab. Troviamo un articolo datato 27 novembre 2022 su Science che riportava della morte di una paziente sottoposta alla cura con Lecanemab. La donna di 65 anni è stato il secondo decesso legato alla terapia, a causa di un’emorragia cerebrale.
Secondo alcune opinioni, compresa quella del dottor Petersen, può succedere perché il lecanemab “rimuove l’amiloide dal cervello, ma lo rimuove anche dai vasi sanguigni nel cervello.” E dunque ci possono essere “gonfiori” e sanguinamenti del cervello.
Sempre gli esperti, però, assicurano che i casi sono rari e che con un attento monitoraggio si possono prevenire. Siamo di fronte ad una terapia molto promettente, ma è solamente l’inizio, come affermano altri ricercatori. E non è detto che un risultato statistico vada a cambiare radicalmente l’approccio verso questa terribile malattia. Ma è un gran passo avanti che dà speranza e probabilmente in futuro si potranno eliminare anche le attuali criticità di questo farmaco.