Per gli investitori in obbligazioni si apre un altro trimestre di incertezza. Dopo le festività natalizie le quotazioni sono tornate a salire ma le turbolenze non sono ancora passate.
Ecco quali sono gli indicatori da monitorare per conoscere direzione ed entità delle variazioni dei tassi di interesse nel breve termine; con effetto diretto sui Titoli di Stato.
I fondamentali sono al centro delle decisioni degli investitori con i Titoli di Stato in portafoglio. È tra questi l’influenza dei tassi di interesse la macro variabile che ne sta determinando il crollo delle quotazioni e gli alti interessi.
L’economia si muove sull’aspettativa di crisi in relazione all’entità e alla durata degli aumenti. Ne conseguono ovvi ragionamenti su quanto le cedole saranno in grado di compensare l’inflazione e oltre questo, quanto sta cambiando la sicurezza dell’investimento.
La conclusione dell’anno terribile appena trascorso per gli investitori sia in Azioni che in obbligazioni ha lasciato il segno anche nella maggiore sensibilità e attenzione sulle prospettive di crescita.
Le tre variabili da monitorare per gestire gli investimenti su obbligazioni e Titoli di Stato
Se l’aspettativa si concentra sui tassi di intesse sono gli indicatori macro che, a nostro avviso, avranno un effetto diretto sulla direzione e l’entità delle variazioni dei tassi nel breve termine. Si tratta di occupazione USA, superamento del Covid in Cina e atteggiamento della Banca Centrale del Giappone.
Sul fronte dell’inflazione, negli Stati Uniti sembra esserci stata una svolta, positiva. L’aspettativa sui prossimi dati rimane febbrile in quanto confermerebbe l’inesorabile caduta dei prezzi con una distensione importante sui mercati internazionali.
Gli analisti e gli investitori hanno spostato l’attenzione sul mercato del lavoro statunitense. Negli Sati Uniti l’occupazione è crescita a tassi inferiori, ma non è ancora abbastanza da indurre la Federal Reserve a porre fine al ciclo di rialzi.
L’occupazione USA per convincere la FED a concludere il ciclo di rialzi
La crescita dell’occupazione deve continuare a rallentare passando dagli attuali 270 – 300 mila nuove assunzioni al mese fino a valori prossimi allo zero entro i prossimi 12 mesi. è un tempo piuttosto lungo su cui ragionare ma si tratta di una stima che non prende in considerazioni gli effetti aggregati di altri fattori sul decorso dell’economia.
Mentre il mercato sconta per il 2023 ulteriori rialzi dei tassi di 63 pb da parte della Fed, il tasso al 4,95%, è vicino al 5,10% fissato come obiettivo dalla Banca Centrale USA. Se l’occupazione statunitense continuerà a rallentare, i prezzi al consumo potranno tornare in linea con l’effettiva domanda così che la Fed possa concludere il suo ciclo verso fine anno.
Affinché l’inasprimento monetario possa scontarsi più velocemente ed essere avvertito prima nell’economia Usa, la rotta della politica monetaria deve incrociare gli effetti di altri due temi emersi di recente; si tratta della fine delle restrizioni Covid in Cina e l’orientamento di politica monetaria della Banca del Giappone.
Gli effetti di Cina e Giappone sull’inflazione
La Cina sta apparentemente tornando alla normalità ma la crescita della domanda avverrà in modo graduale; il suo impatto sull’inflazione globale sarà piuttosto lento ed tutt’altro che chiaro quali saranno gli effetti di ulteriori diffusioni del virus in Cina. La riapertura della Cina ha esercitato pressioni sui rendimenti, perché impatta positivamente sulla crescita globale.
La Banca centrale del Giappone ha intenzione, secondo le ultime indiscrezioni, quella di intenzione di avvicinarsi all’obiettivo del 2%, concludendo la sua fase accomodante in termini di tassi di interesse negativi.
In seguito al cambio di orientamento della politica a dicembre 2022, le obbligazioni governative decennali del Paese hanno superato la soglia dello 0,43%, un livello che non si registrava dal 2015. Questo sembra a oggi il maggiore dei fattori che in termini temporali ha la possibilità di influire sui tassi di interesse a livello globale.
Le pressioni a rialzo sui rendimenti dei Titoli di Stato italiani e l’effetto delle aspettative sul nuovo BTP 2043
In questo contesto sui Titoli di Stato italiani le pressioni a rialzo sui rendimenti potrebbero aumentare. Questo può avvenire paradossalmente in due casi opposti: sia se l’inflazione sale rendendo possibile la continuazione della politica monetaria attuale e il crollo delle quotazioni; sia se scende in quanto centrare gli obiettivi richiesti diventa più complesso.
In questo contesto il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha comunicato i risultati dell’emissione della prima tranche del nuovo BTP a 20 anni con codice ISIN: IT0005530032. Il titolo scade a settembre 2043 e paga una cedola annua del 4,45%.
L’importo emesso pari a 7 miliardi di euro, ha avuto una domanda eccezionale e pari a oltre 26,7 miliardi di euro.
Gli investitori sono consapevoli delle difficoltà sul breve termine e si rivolgono a titoli il cui rendimento finale non avrà influenze dalla situazione incorso. In termini economici siamo di fronte a un vero e proprio artificio; una situazione che si rivelerà particolarmente costosa rispetto ai benefici che può dare sul medio termine.
In conclusione, è evidente che nel breve termine i rendimenti possono vivere una fase altalenante; dati tutti gli adeguamenti in corso i Titoli di Stato rimangono altamente esposti alla volatilità. In Italia i titoli di Stato in circolazione valgono 2.229 miliardi di euro e oltre il 10% del debito di questo ammontare dovrà essere gestito nei primi 15 mesi di questa legislatura. Il nuovo governo dovrà rimborsare e riuscire a rinnovare entro quest’anno emissioni che tra Bot, Btp e Cct saranno pari a 435 miliardi di euro.