I permessi di tre giorni e il congedo straordinario fino a due anni presentano delle sostanziali differenze. Approfondiamo la questione.
La convivenza tra caregiver e persona con invalidità è necessaria unicamente per la richiesta di una sola prestazione. Scopriamo quale.
Tra le tutele per i cittadini con disabilità e per i caregiver presenti nella Legge 104 citiamo i permessi da lavoro e il congedo straordinario, entrambe le misure retribuite. Queste agevolazioni si aggiungono ad una lunga lista di benefici introdotti per migliorare la qualità della vita delle persone con menomazioni fisiche o psichiche. Ricordiamo la detrazione del 19% sull’acquisto di un veicolo, l’IVA al 4%, l’esenzione ticket sanitario, l’esenzione bollo auto, la gratuità degli ausili medici, il contrassegno per disabili e l’inserimento nelle liste di collocamento. Con riferimento alla Legge 104 e alla presenza, dunque, di una minorazione fisica, psichica o sensoriale, approfondiremo oggi i permessi e i congedi. I primi possono essere richiesti sia dal lavoratore titolare di 104 che dal caregiver, i secondi solamente dai familiari che assistono soggetti con handicap. Questa è una prima differenza ma ne esistono delle altre così come si rilevano congruenze tra le misure.
Permessi e congedi Legge 104, tra i benefici più importanti
I permessi retribuiti consentono di assentarsi dal posto di lavoro per tre giorni al mese al fine di assistere il familiare con disabilità. Il congedo straordinario, invece, può arrivare a due anni di assenza dal lavoro. È ugualmente retribuito e può essere fruito in modo continuativo o frazionato. I beneficiari delle prestazioni, come accennato, sono diversi. Sia caregiver che lavoratore disabile nel primo caso, solo il caregiver nel secondo. Una differenza sostanziale tra permessi e congedi riguarda la necessità di convivenza tra chi assiste e l’assistito.
Risponderemo alla questione posta da un lettore. “Chiedo se per poter usufruire dei tre giorni di permesso al mese sia necessario avere la stessa residenza della persona da assistere. Sono dipendente pubblico e ho chiesto i tre giorni al mese per assistere mia mamma ma abbiamo la residenza nello stesso Comune in abitazioni diverse. L’ufficio del personale del mio Ente mi ha detto che per il congedo ordinario non è necessario che la residenza coincida. Mi può confermare quanto detto?“.
Permessi e convivenza, ecco la connessione
I permessi retribuiti mensili possono essere richiesti
- dai genitori,
- dal coniuge,
- dall’unione di parte civile,
- dal convivente,
- dai parenti e affini entro il secondo grado o terzo se il coniuge, i genitori o conviventi hanno compiuto 65 anni, sono affetti da patologie invalidanti, sono deceduti o mancanti.
Le persone citate non devono convivere con il familiare assistito per poter fare domanda dei tre giorni di permesso. La prestazione è riconosciuta anche a chi vive distante dalla residenza della persona con handicap a condizione che offra un’assistenza sistematica e adeguata. Nel caso in cui il caregiver risieda a più di 150 km di distanza dovrà presentare documentazione attestante lo spostamento verso al città di residenza del disabile. Questo perché secondo la Legge durante le giornate di permesso il caregiver deve dedicarsi unicamente all’assistito. Nel caso in cui venisse scoperto a dedicarsi ad interessi personali potrebbe scattare anche il licenziamento.
In risposta al quesito, dunque, possiamo confermare al lettore che quanto detto dall’amministrazione del proprio Ente corrisponde a ciò che stabilisce la normativa. I permessi retribuiti spettano anche se non c’è convivenza con l’assistito.
Congedi straordinari, un discorso diverso
Completamente diverse le conclusioni in caso di congedo straordinario. La normativa prevede che il caregiver sia convivente con la persona titolare di Legge 104 per assentarsi dal lavoro. Sono previste solo tre eccezioni. Se il caregiver è un genitore che assiste un figlio con disabilità, se viene richiesta la residenza temporanea di dodici mesi perché si vive in due Comuni differenti e qualora chi assiste e l’assistito vivano nello stesso palazzo.
Occorre precisare, però, che la convivenza non deve necessariamente essere già iniziata al momento della domanda di congedo. Sarà necessario, però, che sia iniziata a partire dal primo giorno di assenza dal posto di lavoro. Inoltre dovrà durare per tutto il periodo di congedo. I figli non conviventi, dunque, possono ottenere la prestazione trasferendosi a casa del genitore o prendendo in casa propria la persona con disabilità.
Un altro appunto importante. Poniamo il caso di un nipote convivente e un figlio non convivente. Sebbene nell’ordine di priorità di assegnazione dei congedi vengano prima i figli, se non hanno la stessa residenza con il genitore disabile allora verranno scavalcati dal nipote convivente. Sarà quest’ultimo a poter beneficiare del congedo straordinario.
L’ordine di priorità per la richiesta dei congedi
Tenendo conto che la convivenza è la chiave della richiesta dei congedi, ecco l’ordine di priorità a cui abbiamo accennato.
- coniuge o parte dell’unione civile,
- genitori,
- figli,
- fratelli e sorelle,
- parenti fino al terzo grado.
Lo scalino si scende nel momento in cui il familiare che precede è deceduto, assente o affetto da patologie invalidanti.
Se hai dubbi o vuoi porre una domanda di carattere previdenziale, fiscale e legge 104, invia qui il tuo quesito.