Opzione Donna è lo scivolo per il pensionamento dedicato alle lavoratrici ma non a tutte. Ecco le condizioni da rispettare per lasciare il lavoro e ricevere l’assegno mensilmente.
Poche beneficiari di Opzione Donna, la manovra fiscale ha ristretto il numero di lavoratrici che potranno approfittare dello scivolo nel 2023.
In attesa della Riforma delle Pensioni, sembra un déjà vu, i cittadini hanno diverse misure da utilizzare per lasciare il mondo del lavoro. Con la manovra fiscale non si è riuscito a presentare uno scivolo strutturale e flessibile tanto sperato dai lavoratori a causa del poco tempo a disposizione del Governo Meloni insediatosi solamente ad ottobre 2022. Così come durante tutto l’anno passato si è attesa la Riforma delle Pensioni lo stesso sta accadendo nell’anno in corso – da qui il déjà vu – ma si spera che il 2023 sia finalmente l’anno della svolta. Il sistema pensionistico italiano ha dei limiti e i cittadini sperano che possano essere superati sia come forme di pensionamento proposte sia in termini economici (gli assegni sono sempre più bassi soprattutto a causa del sistema di calcolo contributivo).
Attualmente, dunque, si può lasciare il lavoro con la pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 di contributi) oppure con la pensione anticipata ordinaria (41 anni e dieci mesi di contributi per le donne o 42 anni e dieci mesi per gli uomini) o con la pensione per precoci (41 anni di contributi). Forme di pensionamento anticipato nel 2023 sono, poi, l’APE Sociale, Opzione Donna, Quota 41 e Quota 103.
Opzione Donna, a chi si rivolge lo scivolo pensionistico
Oggi approfondiremo Opzione Donna per rispondere ad un quesito giunto in redazione. “Chiedo se ho diritto ad avere Opzione Donna. Ho un problema alle mani – tunnel carpale – e sono già stata operata ma senza riprendere del tutto la funzionalità. Ho 63 anni e sono disoccupata da un anno, non riesco a trovare lavoro proprio per le condizioni fisiche”. Il dubbio della donna è se può accedere ad Opzione Donna nel 2023 avendo raggiunto il requisito reddituale e presentando problematiche fisiche.
La manovra fiscale ha apportato delle modifiche alla misura. Ha unificato l’età anagrafica da raggiungere (non c’è più differenza tra lavoratrici dipendenti e autonome ) portandola a 60 anni ma aggiungendo la possibilità di uscire dal mondo del lavoro a 59 anni se si ha avuto un figlio oppure a 58 anni con due o più figli.
La platea delle beneficiarie, poi, si è ristretta notevolmente. Per richiedere Opzione Donna occorrerà essere disoccupate o impiegate presso società in cui è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale, invalide almeno al 74% oppure caregiver che si occupano di un familiare con invalidità da almeno sei mesi.
Puntualizzazioni sulla disoccupazione
Iniziamo con l’approfondire il requisito della disoccupazione per l’accesso a Opzione Donna. La nostra lettrice dice di essere disoccupata da un anno senza, però, spiegare il motivo per il quale il rapporto di lavoro è stato interrotto. Si tratta di un aspetto fondamentale dato che lo scivolo pensionistico si può richiedere solamente in caso di licenziamento. Le dimissioni, dunque, non sono ammesse (a meno che non siano per richiedere la pensione) così come l’essere stati licenziati per colpa.
Dato che disoccupazione non corrisponde necessariamente a licenziamento, suggeriamo alla lettrice di far valutare la propria posizione da un patronato. Le variabili in gioco sono diverse e occorre avere in mano tutti gli elementi chiave per poter stabilire il diritto o meno ad Opzione Donna.
Un breve accenno, poi, alla questione della NASPI ossia l’indennità di disoccupazione e alla relazione con Opzione Donna. Le misure sono compatibili, con Opzione Donna è possibile fruire della NASPI fino alla prima decorrenza utile successiva alla presentazione della domanda del trattamento pensionistico. La maturazione dei requisiti dello scivolo pensionistico non determina la revoca dell’indennità di disoccupazione se la domanda di pensionamento non viene presentata. La lettrice dovrebbe approfondire con il patronato anche questa combinazione sempre che i requisiti di accesso ad Opzione Donna siano confermati.
Invalidità e Opzione Donna, quando il pensionamento è concesso
Tra le destinatarie di Opzione Donna troviamo le invalide con percentuale di invalidità minima del 74%. Tale percentuale dovrà essere riconosciuta da una Commissione INPS dopo aver fatto scattare la procedura di riconoscimento dell’invalidità rivolgendosi al proprio medico curante. Il 74% è un grado di disabilità molto alto e difficilmente sarà concesso con riferimento al tunnel carpale.
Basti pensare che l’INAIL qualora rilevasse l’associazione tra sindrome del tunnel carpale e professione svolta assegnerebbe circa 7 punti percentuali facendo riferimento alle tabelle INPS. Con un punteggio tra il 6 e il 15% si avrebbe diritto ad un’indennizzo ma solo se la denuncia della malattia al datore di lavoro avvenisse entro quindici giorni dalla diagnosi. Tempi che sicuramente sono già stati superati di molto dalla lettrice operata per tunnel carpale.
Cosa significa tutto questo? In base alle poche informazioni nelle nostre mani possiamo ipotizzare che il requisito dell’invalidità non sia soddisfatto e, dunque, l’accesso ad Opzione Donna sia impossibile basandosi su questo presupposto. Non rimane che valutare il licenziamento come pass per il pensionamento. Fornendo le informazioni utili ad un patronato si potrà conoscere la risposta al proprio quesito.
Un ultimo dato mancante salta agli occhi rileggendo il quesito. Parliamo del requisito contributivo. Ricordiamo che l’accesso ad Opzione Donna è legato alla maturazione di 35 anni di contributi. Senza questo numero lo scivolo salta.
Se hai dubbi o vuoi porre una domanda di carattere previdenziale, fiscale e legge 104, invia qui il tuo quesito.