Le penalizzazioni sugli importi della pensione sono un cruccio per i lavoratori che devono prestare attenzione allo scivolo pensionistico scelto.
Le forme di pensionamento che prevedono penalizzazioni sull’assegno sono numerose. Come capire quale utilizzare per evitare di perdere troppi soldi?
Lo scivolo pensionistico più remunerativo è la pensione di vecchiaia. Si tratta, infatti, della forma “ufficiale” che i lavoratori devono richiedere per poter lasciare il lavoro senza toccare l’assegno pensionistico. Occorrerà semplicemente raggiungere i 67 anni di età avendo maturato minimo venti anni di contributi. Svolgere alcuni lavori specifici, però, è talmente impegnativo fisicamente o mentalmente che pensare di arrivare a 67 anni e continuare a svolgere l’impiego è difficile. Tanti lavoratori sentono l’esigenza, arrivati ad un certo punto della loro carriere, di dire basta e di andare finalmente in pensione. Scegliendo la salute, però, si dovrà inevitabilmente accettare una decurtazione dell’assegno pensionistico. Sia perché si avranno meno contributi da conteggiare – e nel sistema di calcolo contributivo gli anni di contribuzione maturata sono fondamentali – sia perché alcuni scivoli pensionistici comportano una scelta obbligata che farà sfumare molti soldi.
Prendiamo il caso di Opzione Donna. Le lavoratrici che decidono di lasciare il lavoro accedendo a questa forma di pensionamento dovranno obbligatoriamente accettare il sistema di calcolo contributivo pur rientrando in quello retributivo o misto (più vantaggiosi). Meglio, allora, le penalizzazioni della pensione anticipata ordinaria?
Le penalizzazioni sulla pensione mettono in crisi i lavoratori
In redazione è giunto un quesito. “Leggo che per la pensione anticipata di 41 anni e dieci mesi ci sono delle penalizzazioni, sono minori rispetto a quelle di Opzione Donna“?. La lettrice si riferisce alla pensione anticipata ordinaria che permette di lasciare il lavoro con 41 anni e dieci mesi di contributi se donne e 42 anni e dieci mesi di contribuzione se uomini. Nessun requisito anagrafico limita l’accesso alla misura.
La pensione anticipata ordinaria, però, prevedeva con riferimento alla Legge Fornero delle penalizzazioni volte a scoraggiare l’uscita dal mondo del lavoro prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia (allora 62 anni). Ipotizzando di aver iniziato a lavorare a venti anni e di aver avuto una lunga carriera senza interruzioni, una lavoratrice sarebbe potuta andare in pensione già a 61 e dieci mesi. Significherebbe per lo Stato sborsare l’assegno pensionistico per molti anni. Da qui l’esigenza di disincentivare un’uscita troppo anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia.
I lavoratori che hanno versato contributi prima del 1995 dovevano tener conto di una riduzione pari all’1% per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni di età e del 2% per ogni altro anno di anticipo. Tale diminuzione riguarda la quota di trattamento pensionistico relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011. Andando in pensione a 60 anni, dunque, si doveva accettare una riduzione del 2%. Lasciando il lavoro a 58 anni del 6% e così via.
Attenzione, la Legge di Bilancio 2017 – articolo 1 comma 194 – ha abolito tutte le penalizzazioni sulla pensione previste dalla Legge Fornero per coloro che raggiungono il diritto alla pensione anticipata dopo il 31 dicembre 2017. Ottime notizie, dunque, per tanti lavoratori. Dal 2018 non viene applicata alcuna penalizzazione maturando, ad esempio nel 2023, i requisiti di accesso alla pensione anticipata ordinaria.
E Opzione Donna?
Discorso differente per Opzione Donna. Le penalizzazioni ci sono e in alcuni casi potrebbero costare molto caro. In generale la stima è di una differenza tra il 10/30% rispetto all’assegno che si riceverebbe con la pensione di vecchiaia. Questo perché chiedendo l’uscita dal mondo del lavoro con Opzione Donna si dovrebbe accettare il sistema di calcolo puramente contributivo molto più svantaggioso rispetto a quello retributivo e anche a quello misto.
La differenza di importo finale sarà maggiore più alti saranno gli anni di contributi maturati prima del 1996 che dovrebbero teoricamente rientrare nel sistema retributivo ma che con Opzione Donna verranno conteggiati con calcolo contributivo. La perdita sarà minore qualora i contributi maturati prima del 1° gennaio 1996 risultassero pochi. Nel 2023, per esempio, considerando 27 anni versati dal 1996 ad oggi, rimangono 8 anni maturati entro il 31 dicembre 1995 ipotizzando la maturazione dei 35 anni di contributi necessari per accedere ad Opzione Donna.
Un esempio di calcolo della perdita con Opzione Donna
Iniziamo dall’approfondire il metodo di calcolo del sistema contributivo. Occorrerà individuare la retribuzione annua della lavoratrice per poi calcolare i contributi per ogni anno lavorato tenendo conto dell’aliquota di computo (33% per dipendenti e 25% per autonome). A questo punto si dovrà trovare il montante contributivo sommando tutti i contributi annuali rivalutati con tasso annuo di capitalizzazione.
Il montante contributivo dovrà poi essere moltiplicato per il coefficiente di trasformazione che dipenderà dall’età di pensionamento della lavoratrice (per esempio sarà del 4,62% con 60 anni di età, 4,49% con 59 anni di età e 4,38% con 58 anni di età contro il 5,72% con 67 anni di età). Il risultato si dovrà dividere per dodici mesi e si otterrà, così, l’importo mensile dell’assegno pensionistico.
Per avere un’idea della perdita ipotizziamo una lavoratrice con circa 37 anni di contributi e una retribuzione nella media. Con sistema misto avrebbe percepito 1.200 euro, con il contributivo importo da Opzione Donna otterrà 932 euro. Più di duecento euro di differenza, ecco cosa comporterebbe l’uscita anticipata. Ne vale la pena? La scelta è del tutto personale. L’importante è avere le idee chiare su quali rinunce bisognerebbe dover accettare. A tal proposito potrebbe risultare utile simulare l’importo dell’assegno pensionistico utilizzando il servizio messo a disposizione dall’INPS sul portale ufficiale.