Cosa succede se il defunto aveva dei debiti? La rinuncia all’eredità permette di salvarsi da eventuali procedure esecutive? Ecco cosa hanno deciso i Giudici.
Gli eredi del de cuius sono responsabili per i debiti tributari del defunto, in virtù dell’accettazione (anche tacita) dell’eredità.
In base alla normativa italiana, infatti, all’apertura della successione non si acquista in automatico la qualità di erede ma soltanto di chiamato all’eredità. Di conseguenza, è necessario che i successibili per legge o per testamento accettino il lascito.
Se, dunque, il defunto aveva dei debiti con il Fisco, per poter agire nei confronti dei suoi eredi, l’Agenzia delle Entrate deve dimostrare che essi hanno ufficialmente assunto lo status di eredi, tramite accettazione (espressa o tacita). Quest’ultima, quindi, non si presume dalla semplice chiamata all’eredità.
Con la sentenza n. 9186/2022, la Corte di Cassazione ha precisato che accettare l’eredità è un requisito fondamentale per la pretesa di riscossione dei debiti tributari del defunto da parte del Fisco.
Ma i Giudici di legittimità hanno stabilito anche un altro fondamentale principio. Analizziamo la vicenda e scopriamolo.
Eredità: i debiti del defunto vanno sempre pagati?
Con la sentenza n. 37064/2022, la Corte di Cassazione ha precisato che la notifica di un avviso di accertamento al chiamato all’eredità non può, in alcun modo, impedirgli di rinunciare al patrimonio.
Si tratta, tra l’altro, di un provvedimento amministrativo e, dunque, non ha carattere vincolante e definitivo nei confronti dei soggetti eventuali debitori, nel momento in cui l’eventualità rimane tale o decade.
L’Amministrazione finanziaria, dal proprio canto, possiede degli strumenti che possono impedire che lo status di chiamato all’eredità si protragga per un tempo troppo lungo, ad esempio fissando un termine per l’accettazione oppure nominando un curatore dell’eredità giacente. Ha anche il diritto di impugnare l’intervenuta rinuncia, se ricorrono i presupposti sanciti dall‘art. 524 del codice civile.
Di conseguenza, l’avviso di accertamento notificato agli eredi che hanno rinunciato alla propria qualifica, anche se divenuto definitivo perché non impugnato, non può legittimare la riscossione nei loro confronti. La rinuncia, infatti, impedisce all’avviso di accertamento di avere definitività ed efficacia preclusiva in relazione alla pretesa creditoria per i debiti contratti dal de cuius.
In definitiva, i chiamati all’eredità possono legittimamente impugnare la cartella esattoriale notificata sulla base di un avviso di accertamento. Nei loro confronti, infatti, non si può parlare di responsabilità tributaria, perché hanno rinunciato all’eredità del defunto debitore.
Gli effetti della rinuncia: cosa ha stabilito la Cassazione?
Alla luce delle osservazioni finora esposte, il chiamato all’eredità che vi rinuncia non può essere responsabile dei debiti tributari contratti dal de cuius.
Tale orientamento è stato espresso alla sentenza n. 37064/2022 della Corte di Cassazione.
Inoltre, l’art. 521 del codice civile sancisce che “chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato“. La rinuncia, dunque, ha effetto retroattivo.
La condizione essenziale affinché il chiamato all’eredità possa rispondere dei debiti del de cuius è l’accettazione del lascito, perché in mancanza di tale atto un soggetto non può essere considerato erede neanche nel lasso di tempo che va dall’apertura della successione alla rinuncia.