Una volta effettuata la rinuncia all’eredità, i creditori hanno un metodo per rivalersi sul patrimonio? Ecco i metodi previsti dalla normativa.
I chiamati all’eredità hanno la possibilità di rinunciare al lascito, tramite una dichiarazione formale dinanzi al notaio o al cancelliere del Tribunale.
La rinuncia, tuttavia, ostacola la pretesa di eventuali creditori. Per questo motivo, molti si chiedono se è possibile impugnare la rinuncia all’eredità.
La normativa italiana prevede due ipotesi nelle quali si può impugnare la rinuncia, ossia quando i creditori hanno subito un danno da tale atto e quando la rinuncia è stata imposta all’erede (cioè non deriva da una sua scelta libera).
Impugnazione della rinuncia all’eredità: cosa possono fare i creditori?
L’art. 524 del Codice Civile stabilisce che, se dalla rinuncia deriva un danno per i creditori, questi possono ottenere un’autorizzazione all’accettazione del patrimonio del de cuius in nome e in luogo dei chiamati rinunciatari. L’obiettivo di tale azione è quello di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto tramite i beni oggetto dell’eredità.
I creditori possono procedere con l’operazione anche se gli eredi che rinunciano sono in buona fede e hanno deciso di non accettare il lascito semplicemente perché non erano interessati.
Affinché l’impugnazione della rinuncia dell’eredità sia valida devono ricorrere le seguenti condizioni:
- deve provenire dai creditori dell’erede. Tale status va opportunamente provato in sede giudiziaria (per esempio, mostrando al giudice la promessa di pagamento o il contratto non adempiuto);
- la rinuncia all’eredità deve aver effettivamente danneggiato i creditori. Questi ultimi, dunque, devono provare che l’asse ereditario è sufficiente a ripagare, almeno in parte, i debiti contratti dagli eredi;
- non devono essere intercorsi più di cinque anni dalla rinuncia. In caso contrario, opera la prescrizione.
Se l’impugnazione viene accolta, la rinuncia diventa inefficace nei confronti dei creditori che, di conseguenza, potranno rivalersi anche sull’eredità, proprio come se quest’ultima fosse stata accettata.
Attenzione, però, questo non significa che i creditori diventano eredi ma che possono solo soddisfare la propria pretesa sui beni oggetto dell’eredità, fino ad esaurimento del diritto di credito. Non potranno, quindi, appropriarsi anche della parte di patrimonio eventualmente residuale.
Cosa accade se, intanto, un altro chiamato all’eredità ha accettato il lascito al posto del rinunciante? In quest’ipotesi, l’impugnazione dei creditori può essere valida verso i terzi non debitori soltanto se l’istanza giudiziale è stata proposta anche nei loro confronti e se è stata trascritta nei pubblici registri immobiliari.
In caso contrario, i terzi che hanno accettato l’eredità rifiutata avranno diritto all’intero patrimonio lasciato del defunto e i creditori nulla potranno nei loro confronti.
Impugnazione per violenza o dolo: quali effetti produce?
Il secondo caso di impugnazione della rinuncia all’eredità si ha quando l’atto non è stato libero, ma imposto tramite minaccia o inganno.
È lo stesso rinunciatario che può impugnare la dichiarazione se prova la sussistenza della violenza o del dolo, entro massimo cinque anni dal giorno in cui la minaccia è cessata o l’inganno è stato scoperto.
Tale ipotesi ricorre, ad esempio, quando Tizio rinuncia all’eredità perché il fratello lo ha tratto in inganno, facendogli credere che ci fossero molti debiti, quando in realtà non è vero.