La rivalutazione del TFR avrà degli effetti disastrosi sulle piccole e medie imprese, costrette a versare molti soldi in più per ciascun dipendente. A quanto ammontano gli aumenti?
Il TFR è una somma che spetta ai lavoratori dipendenti al termine del loro rapporto di lavoro, indipendentemente dalla causa della cessazione.
Il calcolo del Trattamento di Fine Rapporto viene effettuato sulla base della retribuzione percepita dal lavoratore ma, per consentire che l’importo non perda potere d’acquisto, viene rivalutato ogni anno, a seconda dell’andamento dell’inflazione.
L’inflazione, infatti, incide negativamente anche sulla liquidazione e, per questo, c’è bisogno di una rivalutazione delle somme che vengono accantonate dai dipendenti.
Per la determinazione della rivalutazione annua del TFR, si aggiunge all’importo accantonato un tasso fisso dell’1,5% e una quota variabile che ammonta al 75% dell’incremento dell’inflazione accertato dall’ISTAT nel mese di dicembre dell’anno precedente. Dalla rivalutazione, tuttavia, è escluso quanto ammontato nell’ultimo anno.
Il tasso di rivalutazione attuale è del 9,974576%; si tratta di una percentuale molto elevata perché, nell’ultimo anno, l’inflazione ha raggiunto picchi da record.
Ma l’inflazione sta avendo un’incidenza negativa soprattutto sulle somme di TFR che vengono accantonate dai dipendenti presso le aziende.
Secondo le stime effettuate dall’Ufficio Studi della CGIA, nel 2023, i datori di lavoro potrebbero essere costretti a pagare circa 1.500 euro in più per ciascun lavoratore, per un totale di 6 miliardi di euro.
Rivalutazione del TFR per piccole e medie imprese: chi deve farsi carico degli oneri?
La rivalutazione del TFR accantonato dai lavoratori presso le aziende che hanno almeno 50 dipendenti spetta all’INPS, mentre per quelle con un numero di dipendenti inferiore, l’operazione spetta all’azienda.
Ad esempio, la rivalutazione della liquidazione di un dipendente che presta attività lavorativa da 5 anni presso la stessa impresa che ha meno di 50 dipendenti comporta, per il 2023, un aumento dei costi di circa 593 euro, rispetto agli scorsi anni.
Chi, invece, ha un’anzianità lavorativa di 10 anni, vedrà un aumento sulle somme accantonate di circa 1.375 euro.
Ma l’importo relativo alla rivalutazione delle quote di TFR accantonate in azienda sale fino a oltre 2 mila euro per chi ha almeno 15 anni di servizio e, addirittura, a 2.594 euro per chi lavora presso la stessa impresa da 20 anni.
Secondo le previsioni dell’Ufficio Studi della CGIA, i lavoratori delle piccole imprese hanno un’anzianità di servizio più bassa rispetto a quelli che lavorano presso le grandi aziende. Nelle piccole imprese, però, sono rari i dipendenti che optano per i Fondi pensione, perché quasi tutti decidono di accantonare le somme in azienda.
Dei 6,5 milioni di lavoratori impiegati presso imprese che hanno meno di 50 dipendenti, quasi tutti sono propensi verso tale scelta.
In questo scenario, a risentire in maniera più significativa della rivalutazione del Trattamento di Fine Rapporto sono le piccole aziende del Sud, dove sono più diffuse le realtà imprenditoriali con meno di 50 dipendenti.